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IL LAZIO DEI MIRACOLI DI SAN GREGORIO MAGNO

di NICOLA CARIELLO

La solenne processione che muovendo da tutti gli angoli della città condusse i Romani imploranti la fine della pestilenza, all’indomani dell’elezione di Gregorio I, dinanzi alla Mole Adriana, segna, secondo il Gregorovius, la data di inizio del medioevo di Roma.

Ma l’apparizione dell’arcangelo Michele in atto di rinfoderare la spada rappresenta anche il miracolo che apre il pontificato del grande Gregorio.

Nulla di strano per la mentalità dell’uomo medievale, per il quale i confini tra cielo e terra sono alquanto sfumati ed il miracolo rientra nella quotidianità.

E proprio Gregorio Magno dovette la sua fama alla narrazione dei fatti miracolosi che raccolse nei suoi “Dialoghi” (Dialogorum Gregorii Papae Libri Quatuor de Miraculis Patrum Italicorum), tanto che in Oriente era conosciuto con l’attributo di Gregorio Dialogos. 

Di nobile e ricchissima famiglia romana era già stato praefectus Urbi prima di dedicarsi alla vita religiosa, fondando diversi monasteri, tra i quali quello di S. Andrea al Celio nella casa paterna dove si era ritirato come monaco prima di essere chiamato alla corte papale. Nominato ambasciatore (aprocrisarios) pontificio a Costantinopoli, alla morte di Pelagio II era stato acclamato dai Romani, con suo dispiacere, Sommo Pontefice.

Una scelta felice, che assicurò alla Chiesa uno dei suoi papi più grandi: oculato amministratore dell’enorme patrimonio ecclesiastico, abilissimo uomo politico, appassionato difensore dell’ortodossia, evangelizzatore dell’Inghilterra ed insieme caritatevole verso i poveri e gli oppressi; insomma, per dirla con il Richards, un grande che seppe coniugare il sentimento della christianitas con il rispetto per la romanitas, meritandosi il titolo di consul Dei che si legge nel suo epitaffio. 

I “Dialoghi” che si svolgono tra il papa ed il diacono Pietro, hanno origine dalla domanda che costui rivolge al pontefice per sapere se esistano santi italiani che abbiano operato miracoli come è già noto per l’Africa, l’Asia ed altre nazioni cristiane.

Gregorio risponde citando inizialmente gli episodi miracolosi accaduti ai monaci del convento di S. Magno a Fondi: il primo miracolo è attribuito a S. Onorato che con un gesto della mano arresta il macigno che dall’alto dei Monti Ausoni sta per precipitare sul monastero.

Seguono molti uomini pii, quali Nonnoso del Soratte, Bonifacio di Fèrento, Anastasio di Castel S. Elia, Martirio e Severo monaci della Valeria.

Il primo libro si chiude con il prete Severo della chiesa di S. Maria di Antrodoco, il quale, giunto in ritardo al capezzale del “paterfamilias” moribondo che l’ha mandato a chiamare per la sua ultima confessione, piangendo ottiene da Dio la grazia della momentanea resurrezione del penitente, la cui anima può così ritornare  nell’aldilà, ormai purificata.

“Admiranda sunt valde haec quae invenio” esclama, pieno di devota meraviglia, il diacono Pietro nell’ascoltare il grande Gregorio, dai cui racconti si indovina una campagna laziale popolata di santi monaci, barbari predoni, umili contadini ed arroganti militari.

Se esiste un filo conduttore che lega gli episodi del primo libro si tratta esclusivamente di un nesso geografico: tutti i luoghi in cui si verificano i fatti miracolosi sono situati lungo itinerari a nord e a sud di Roma, ma non toccano la città.

I “Dialoghi” costituiscono, d’altronde, una fonte preziosa ed a volte unica della storia locale del VI secolo nel Lazio, soprattutto per diocesi e monasteri di cui non avremmo avuto altrimenti notizia.